top of page
Cerca

Applicazione non clinica del t.a. nei caregivers di pazienti oncologici

  • trainingliberament
  • 22 apr 2020
  • Tempo di lettura: 9 min

La patologia oncologica investe l’individuo nella sua globalità riversandosi sull’intera famiglia; all’interno della quale c’è quasi sempre un componente che diventa il principale referente del malato per tutto ciò che riguarda la malattia, le cure e l’assistenza.

Si tratta di un accompagnatore “del percorso” in genere designato dal paziente e che in psicologia clinica prende il nome di “caregiver”. Ormai entrato stabilmente nell’uso comune, questo termine letteralmente significa “colui che si prende cura”. Un’evenienza inattesa quanto negativa quella della diagnosi tumorale che invade le mura domestiche di ogni famiglia. In quest’ambito, si diventa caregiver senza molte anticipazioni trovandosi da un giorno ad un altro catapultati in una situazione di “allarme”; senza alcuna preparazione da un punto di vista medico e con tanta paura di sbagliare.

L’importanza del caregiver

Gran parte delle persone colpite da tumore, nella propria storia mette in evidenza che il ruolo del familiare è stato importante, nel decorso del lungo iter oncologico.


Caregiving è una bella parola ma merita molta attenzione ed una cultura pronta a valorizzarla, poiché proprio la sua presenza sarà molto influente nell’affiancamento del paziente.Il caregiver è colui che agisce tra il paziente e l’equipe medica, costantemente sollecitato da sentimenti ambivalenti tra il condividere le condizioni cliniche del malato e proteggerlo dalle “brutte notizie”1.

Animato dalla sequela di amorevoli doveri necessari a prendersi cura del proprio caro, il suo coinvolgimento è totalizzante dal punto di vista emotivo e pratico. È colui che entra ed esce da uffici amministrativi e patronati, che si reca in ambulatori, ospedali per accompagnare il paziente e possibilmente svolge anche altre attività quotidiane per accudirlo. Il caregiver famigliare tendenzialmente è una persona forte, tenace e intenzionata a migliorare la vita del suo assistito, una vera e propria fonte di risorse: ma non inesauribile. In Italia si stima che i caregivers oncologici siano più di 3 milioni (dati Istat 2015) e che per lo più, questi siano donne: le fasce di età maggiormente rappresentate sono tra i 45 e i 55 anni e tra i 55 e i 65, raffigurando oltre il 50 per cento dei casi 2..

Il burden del caregiver

Sebbene la letteratura scientifica nazionale e internazionale3 ha rilevato l’importanza degli interventi psico-oncologici nel sostegno sia ai pazienti che ai caregivers; ad oggi purtroppo per questi ultimi non c’è ancora troppa attenzione per fornire loro il giusto supporto. Poco conosciuto e spesso inosservato è proprio l’effetto collaterale di tutto questo correre (la malattia segna uno spartiacque nella vita di una persona tra ciò che era prima e ciò che sarà poi in un’incessante corsa contro il tempo: quello della diagnosi- della terapia- della cura e della guarigione?) e trattenere (emozioni): il burden del caregiver4.

Si parla di burden, meglio nota come sindrome del caregiver, allorché il carico fisico ed emotivo investe negativamente la vita di chi si prende cura. Il burden del caregiver consiste in livelli di tensione accumulata, un livello di stress5 costantemente alto e difficilmente percepito poiché confuso con normali e fisiologici periodi di stanchezza.

È necessario distinguere lo stress dalla stanchezza

Per definizione lo stress può essere considerato una sensazione provata qualora la mole di impegni e le pressioni esterne o interne (es. malattie) eccedono le capacità personali e sociali che la persona è in grado di mettere in campo per affrontarli. Di fatto gli eventi stressanti all’inizio tendono ad aumentare la reattività e l’attenzione di fronte alla potenziale minaccia, in modo da promuovere lo spirito di sopravvivenza(Eustress). Grazie anche a questa risorsa interna è possibile “stare a galla” nelle situazioni più difficili.

Se però i fattori stressanti sono particolarmente intensi e/o prolungati nel tempo arrivano a determinare conseguenze negative sia sul piano fisico e mentale (Distress). Il grado di stress è strettamente legato al livello di ansia e preoccupazioni presenti nel tempo, o esacerbati dalle evoluzioni cliniche della neoplasia non sempre così prevedibili. Molti studi in letteratura hanno esplorato le problematiche connesse al ruolo del caregiver evidenziando come il cambiamento comportamentale del proprio assistito, insieme alla difficoltà nel gestire la malattia, provochi dei disturbi legati sia alla sfera emotiva sia a quella fisica e che comprometta la qualità della vita.

Sentirsi inadeguati è uno dei principali problemi del caregiver

Tutto ciò, si traduce in una concomitante perdita della fiducia in sé stessi riguardo alla possibilità di fornire un’assistenza adeguata ai propri cari, dovuta spesso alla carenza di informazioni e di formazione necessari ad acquisire le competenze adatte. Spesso accudire una persona malata di cancro comporta uno stato di ansia continuo, vengono riferiti sentimenti di paura, rabbia, frustrazione, senso di colpa, incertezza6 . In particolare si tratta di persone che rilevano uno stato di ansia generalizzato e spesso collegato a irritabilità, disturbi del sonno, problemi gastrointestinali, mal di testa, dolori dovute a manovre pesanti, un abbassamento del sistema immunitario; sul piano cognitivo compare confusione mentale e mancanza di concentrazione.

Tutto questo si riversa negativamente sulla vita del caregiver; egli può iniziare ad avere abbassamenti dei livelli di rendimento sul lavoro, nelle dinamiche relazionali e riscontrare difficoltà nelle scelte da prendere nel quotidiano. Questi disturbi vengono tendenzialmente sottovalutati dal soggetto interessato ma spesso, si tratta di segnali che vengono lanciati dal corpo, ad indicare una situazione di squilibrio psicofisico.

Disturbi fisici ed emotivi

Accanto ai disturbi di tipo fisico è del tutto normale che il caregiver venga colpito da dubbi di carattere emotivo; col tempo potrà arrivare a colpevolizzarsi per non riuscire più a mantenere i propri impegni. A riguardo ciò che emerge in sede di colloquio è:

  • Il senso di colpa scatenato dal desiderio che vi sia una terza persona ad occuparsi del paziente (istituzione/ badante),

  • Il sentimento di incompetenza di fronte ad un nuovo quadro clinico,

  • Il non essere informati a sufficienza dal personale sanitario,

  • Il senso di colpa per desiderare uno spazio per prendersi cura del proprio benessere psicofisico.

Se la salute del caregiver è compromessa diminuirà anche la possibilità di assistere la persona malata, con risultati negativi per entrambi.

Riconoscere la situazione di stress è molto importante

Il caregiver dovrebbe dapprima prendere coscienza della propria situazione di stress riconoscendo i sintomi del proprio malessere7 , quali:

  • senso di frustrazione

  • isolamento

  • disturbi del sonno

  • perdita o aumento di peso

  • astenia

  • confusione mentale

  • nervosismo e rabbia

  • perdita di interesse per le attività quotidiane

  • perdita di interesse per i propri hobby

  • preoccupazione e tristezza

  • frequenti mal di testa.

Uno o più di questi sintomi potrebbero suggerire un campanello d’allarme della presenza di un disturbo psicofisico importante. Per riuscire a garantire la migliore assistenza ad un nostro caro è necessario saper riconoscere in noi il sospetto di un cedimento.

Il ruolo dei servizi socio-sanitari

Nel corso della malattia i servizi socio-sanitari giocano un ruolo di centrale importanza per la cura del paziente e per il supporto alla famiglia, nel promuoverne la capacità di contenimento e di assistenza.

Il compito delle Istituzioni, delle Associazioni che lavorano in campo oncologico deve essere proprio quello di promuovere la cura di sé come fattore preventivo e non da stigmatizzare. Promuovere una psicologia della salute non necessariamente clinica, come spazio-tempo al prendersi cura di sé stessi. Inserire il T.A come protocollo nell’ orientamento e nell’assistenza dei prestatori di cure oncologiche potrebbe essere un metodo tanto efficace quanto innovativo. Se ogni caregiver acquisisse la tecnica del Training Autogeno sarebbe facilitato nell’ affrontare il distress e gestire i pensieri ansiogeni, recuperare un buon livello energetico e aumentare la propria efficacia nella gestione delle emozioni.

Il T.A.: un aiuto reale per il caregiver

Come descritto, le ripercussioni psicofisiche sulla vita del caregiver sono molte e talvolta arrivano a compromettere il buon funzionamento di alcune aree della vita quotidiana. Da queste evidenze nasce e cresce la responsabilità di far conoscere il T.A come strumento adatto al riequilibrio psicofisico e al riprendere contatto con le proprie potenzialità. Tutto questo attraverso l’apprendimento di esercizi semplici, che, una volta fatti propri possono essere effettuati comodamente a casa oppure in qualsiasi momento di bisogno.

Il Training Autogeno fu messo a punto nella prima metà del ‘900 dal Dott. J.H. Schultz ed è una tecnica basata sull’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione psichica, i quali, se eseguiti in modo costante e regolare, consentono di raggiungere uno stato di calma, di benessere e di distensione muscolare e psichica. L’adozione di questa metodica aiuta a ridurre le conseguenze dello stress intervenendo sui parametri fisiologici e sulle tensioni muscolari legati allo stress cronico, oltre a portare benefici in caso di basso rendimento psicofisico e di mancanza di concentrazione.

I benefici del training autogeno

Sono molti i benefici derivanti dalla pratica regolare del T.A e tra questi ricordiamo:

  • il recupero delle energie fisiche e psichiche, risulta essere molto utile per “staccare la spina” quando siamo molto impegnati sul piano fisico e/o mentale (nel lavoro, nello studio, nello sport);

  • la riduzione della tensione muscolare;

  • un maggiore equilibrio emotivo di fronte a situazioni stressanti;

  • si ridimensiona l’impatto delle nostre emozioni riducendo la sensazione di oppressione;

  • attraverso formule adatte si può ridurre la percezione del dolore e si riduce le reazioni emotive di ansia, paura ad esso associato;

  • l’aumento della capacità introspettiva prendendo maggior coscienza di sé;

  • un buon recupero dell’equilibrio psicosomatico.

Con questo risulta evidente che il Training Autogeno non è solo una tecnica di rilassamento, ma un vero e proprio strumento psicologico riconosciuto scientificamente nel campo della psicologia clinica8 .

Uno dei suoi punti di forza è la completa autonomia nell’applicazione di un semplice protocollo di auto trattamento, per la gestione di ciò che la malattia ha spezzato: riunisce il corpo con la mente nell’ascolto di sé, in modo che la propria storia coincida con le emozioni che l’hanno attraversata, allo scopo di raggiungere l’autenticità e di poterla accogliere.


Ti piacerebbe seguire un corso dedicato al Training Autogeno e Mindfulness?

Dai un’occhiata…

per maggiori informazioni visita la sezione corsi/ contati.


Bibliografia

Buralli B, Amoroso D. Camici invisibili. Manuale pratico per volontari in oncologia. Franco Angeli, Milano, 2011.

Converso D, Falcetta R. Burn-out e non solo. “Salute e benessere nelle organizzazioni sociosanitarie”. Centro Scientifico Editore,Trino, 2007.

De Rivera y Revuelta J.L.G., Psicoterapia autogena, I parte. Training Autogeno di base, Libreria Cortina, Torino, 2009.

Grassi L, Biondi M, Costantini A. Manuale pratico di Psico-Oncologia. Pensiero Scientifico, Roma, 2003.

Palladino L, Metodologie Autogene.Il bisogno di quiete e raccoglimento come esperienza creativa, Edizioni ETImpresa Torino, 2016.

Sitografia

AGENAS “Studio sulla rilevanza percepita dei bisogni dei pazienti, dei familiari e degli operatori nelle cure palliative”, 2001 https://goo.gl/jXhb4Y

AIOM- AIRTUM “I numeri del cancro in Italia” 2016 http://www.registritumori.it/PDF/AIOM2016/I_numeri_del_cancro_2016.pdf

Bolis T, Masneri S, Punzi S (2008) “Il caregiver in oncologia: tra ruolo e bisogni”. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, 30(3), B32-B36. https://www.yumpu.com/it/document/read/18842434/il-caregiver-in-oncologia-tra-ruolo-e-bisogni-giornale-italiano-di-

Debra Parker Oliver, PhD, MSW, Professor of Family Medicine University of Missouri- The Experience of Caregiving in Serious Illness www.Dbocancerjourney.blogspot.com

ISTAT, Rapporto sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea https://www.istat.it/it/

Ministero della Salute (2013) Schema di piano sanitario nazionale 2011-1013. http://goo.gl/H12nH2 SIPO- Società Italiana di Psicologia Oncologica: “Giornale Italiano di Psico-Oncologia” Vol. 13 – N. 2/2011 http://www.siponazionale.it/index.html

1- Il desiderio di proteggere il malato dalle implicazioni psicologiche e sociali della malattia e il tentativo di evitargli preoccupazioni e ansie circa l’andamento della stessa, è la causa che spesso può aumentare il carico d’ansia e di responsabilità del caregiver (Bolis, Masneri, Punzi, 2008).

2- Fonte: ISTAT- l’indagine Multiscopo del 2011.

3- Quando nel 1998 la SIPO pubblicò la I edizione del documento Standard, opzioni e raccomandazioni per una buona pratica psico-oncologica, la psiconcologia rappresentava già una realtà consolidata. A livello internazionale, nello stesso anno era stata stampata per Oxford University Press la nuova edizione di Psycho-Oncology pubblicato a Jimmie Holland (Holland et al., 1998), a distanza di circa 10 anni da una prima edizione di grande successo (Holland e Rowland, 1989). Diverse società scientifiche avevano inoltre creato i presupposti per lo sviluppo programmatico della disciplina psiconcologica nei diversi paesi. A livello nazionale, la SIPO aveva da poco istituito le sezioni regionali come presupposto per la capillarizzazione della psiconcologia sul territorio italiano e stava gettando le basi per la preparazione del manuale italiano di Psiconcologia che avrebbe visto la luce pochi anni dopo (Bellani et al., 2002). A distanza di un decennio, diverse cose sono avvenute nel panorama sia internazionale che nazionale. La nuova edizione di Psycho-Oncology, recentemente pubblicata (Holland et al., 2010) approfondisce, aggiornandole, le diverse tematiche inerenti la psiconcologica, in un’ottica multidisciplinare e internazionale. In Europa, il documento conclusivo del Council of the European Union (Luxembourg, 10 June 2008), precisa che “un approccio comprensivo, interdisciplinare e psicosociale deve essere implementato nella cura del cancro, nella riabilitazione e nel follow-up successivo ai trattamenti di tutti i pazienti affetti da cancro” (punto 5), enfatizza “che il trattamento e le cure del cancro sono multi-disciplinari e coinvolgono la cooperazione tra chirurgia oncologica, oncologia medica, radioterapia, chemioterapia nonché il supporto psicosociale e la riabilitazione” (punto 11), e invita “gli stati membro […]a prendere in considerazione i bisogni psicosociali dei pazienti […]” (punto 19). Ciò può aprire importanti orizzonti per la psiconcologia, per l’assistenza delle persone ammalate, per la formazione e per gli investimenti sulla ricerca psiconcologica in tutti i Paesi dell’Unione Europea, dove la situazione relativa alla psiconcologia è certamente diversa da area ad area. Giornale Italiano di Psico-OncologiaVol. 13 – N. 2/2011.

4- Definito per lo più in relazione all’assistenza di persone con principi di Alzheimer o demenza è una condizione che si estende anche al campo oncologico, si evince dalla banca dati Medline tramite PubMed.

5- Le attività che i cargiver/ familiare trova più stressanti includono l’aiuto diretto dei bisogni fisici del malato, la gestione dei sintomi, gli effetti del trattamento, i viaggi, le attese per visite/cure. Haley WE.J Suport Oncolo 2003 Nov-Dec; 1 ( $Suppl2): 25-9

6- Sorgono una serie di bisogni e richieste di natura strumentale ed emotiva che mutano seguendo il corso della malattia e che il caregiver esplicita secondo i propri tempi e il proprio vissuto (Bolis T et al., 2008); quando questi bisogni restano insoddisfatti, solitamente fanno seguito emozioni quali tristezza, rabbia, vergogna e malessere o situazioni spiacevoli (Agenas, 2001).

7- Citando Debra Parker Oliver, PhD, MSW, Professor of Family Medicine University of Missouri- la Dr.ssa Parker-Oliver e i suoi colleghi hanno condotto questo studio, valutando gli stati di ansia e di depressione di circa 395 caregiver e hanno scoperto che circa il 23 per cento di loro soffre di una depressione moderata o grave, mentre al 33 per cento è stato diagnosticato un disturbo d’ansia. Parker-Oliver conclude affermando che strumenti di valutazione per la depressione e l’ansia sono ampiamente accessibili e una diagnosi precoce potrebbe migliorare le condizioni di vita e il benessere dei caregiver. Secondo la ricercatrice, queste situazioni vengono molto sottovalutate perché gli operatori sanitari tendono a concentrarsi più sul paziente malato invece che prendere in esame un quadro più generale, ovvero tutta la famiglia.

8- Palladino, L (2016).

 
 
 

Commentaires


bottom of page